Il cinema della Marvel e il modello isolato di Ant-Man

Il cinema della Marvel e il modello isolato di Ant-Man

La pandemia è stata (per fortuna) anche moltiplicazione delle visioni, tra novità, infrequenti sprazzi di vecchia cinefilia e il film serale in famiglia. Spazio dominato dalle scelte della prole, antidemocraticamente portatrici dell’esigenza di vedere tutte le fasi della Marvel

Ecco, io e la Marvel ci piacciomo poco, non per chissà qualche snobberia o senilità visiva scorsesiana: solo che non riesco proprio ad appassionarmi a questo immaginario roboante di risse, distruzioni, grandi poteri, relative responsabilità e siparietti da buddy movies.

Alla fine della fase 2 ho capito che sono:
troppo vecchio per il power metal di Thor (che, edit, era comunque meglio del suo restyling da commedia camp con parentesi birrofile)
troppo antiglobalista per la tronfia retorica di Captain America e del suo lato oscuro (della stessa medaglia) Iron Man
troppo indifferente alle ferite morali di Hulk

Fortunatamente le eroine si avvicinano quasi tutte al mio modello erotico.

Sono, invece, abbastanza infantile per essermi goduto i Guardiani della Galassia (il tocco di James Gunn ha portato l’universo Marvel in luoghi davvero alieni e molto divertenti) e Ant-Man.

Ma se i Guardiani è un dittico pienamente riuscito, quello del primo Ant-Man ha il fascino irrisolto del progetto mezzo abortito, che, nonostante le revisioni e l’abbandono di Edgar Wright e Joe Cornish (regista di un mio cult, Attack the Block), ha mantenuto il cuore originale, nonostante fosse stato tradito prima ancora di venir realizzato.

Una specie di virus nel sistema che gioca con le dimensioni e la portata delle riflessioni marveliane e che ha finito per ricordarmi alcune cose di Joe Dante ancor più dei lavori di Wright.