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La mia vita senza tennis

A due mesi dall’inizio degli arresti domiciliari pandemici e a 50 giorni dai primi buoni propositi sui contenuti da inserire qui dentro, mi duole constatare come la mia vita senza tennis (e senza storieditennis) sia più o meno la stessa di quando si giocavano 150 partite al giorno, seguivo tutti i risultati, davo i pronostici e scommettevo su giovanissimi la cui attività agonistica era ignota anche ai loro parenti più stretti.

Per un ossessionato dal gioco è una scoperta che colpisce, fa riflettere e conferma anche alcune cose che penso delle passioni umane, delle relative e conseguenti retoriche. Ed inevitabilmente di me.

L’uomo è un animale abitudinario, ma anche molto portato all’adattamento, motivo per il quale non ho mai creduto alla narrazione della tossicodipendenza, della ludopatia, dell’alcolismo e di tutte le ossessioni che ci raccontano non essere governabili. Ma non divagherei.

Mi ha comunque disorientato il modo semplice e naturale con cui mi sono affrancato da una serie di azioni e pensieri che erano diventati automatismi: l’apertura dei siti di livescore e di betting al risveglio, i whatsapp e i forum sul tennis, le storpiature di nomi e situazioni, il sinnerismo e tutta la galassia tematica che dominava la mia barra di Chrome.

Probabilmente ero arrivato anche a un livello di saturazione a me ancora invisibile, ma è stato un passaggio netto e indolore. Attualmente per me il tennis è uno sport in stand-by, non ha prodotto un surrogato nella visione di vecchie partite, nella partecipazione al dibattito sulla ripartenza, nel cazzeggio sui suoi personaggi.

Non seguo i social dei tennisti, aggiorno rarissimamente Vite brevi di tennisti non emimenti, non guardo le indecenze culinarie di Nadal, i video di Fognini con Pennetta e le sfide murarie di Federer e Djokovic. Ne conosco l’esistenza per via dell’algoritmo del librofaccia, ma non mi vado a cercare nulla di tennistico.

OK MA LE STORIE?

Vi serve davvero la didascalia?

Le storie mi piacciono sempre non vi allarmate. Se si nasce tondi non si muore quadrati (cit.), e poi quelle non muoiono mai, sono ovunque. Ma lo sguardo sul loro riprodursi vacilla quando la mente è lontana, in posti che non si riescono neanche a raggiungere la notte, quando ti capita di svegliarti e di non riprendere più sonno.

Eppure la “mission” di questo blog sarebbe dovuta essere non solo il narrare ciò che è fuori dai riflettori contemporanei, ma ripercorrere il tennis sotto una diversa angolatura, proporre una controstoria dei suoi protagonisti.

Questo sarebbe stato il momento migliore, ho perso l’occasione per parlare di quei due set di Pescosolido contro Brugheira, della prima partita di Rios contro Sampras al Roland Garros, di Agassi infante contro Lendl, di Leconte (già grasso) che scherza Stich a Parigi. Di Arazi, Nalbandian, Korda e Camporese. Delle fogninate, di Pat Cash a Wimbledon nel 1987, visto con un televisore scassato che trasmetteva solo in bianco e nero. Forse era giusto così.

Non ci sono riuscito, è uno dei piccoli fallimenti che affollano il quotidiano.

Mi sarei potuto sforzare, ben consapevole che messo davanti a uno schermo e una tastiera nessuno mi possa togliere la capacità di riempirla di caratteri di facile leggibilità e interesse, ma ho dovuto, per molto anni, esercitare la creatività per ragioni professionali e credo di aver maturato un rifiuto a pormi in questo modo anche di fronte a un blog sul tennis, nato per gioco e orgogliosamente senza un pubblico al di fuori di quella nicchia in cui bazzico e continuerò a bazzicare.

Ma a breve tornerò, lo so per certo, altrimenti non avrei scritto queste righe.

E LE SIMULAZIONI?

Da qualche parte l’astinenza dal tennis però doveva generare effetti collaterali e improvvisamente mi sono di nuovo interessato alle simulazioni videludiche.

Bellino assai Tennis Elbow: nella radura dei giochi sul tennis il più realistico, nonostante una concezione piuttosto vecchia. Forse pure troppo realistico, nel senso che ho desistito alla lunga fase che serve per provare minimamente a divellere, anche se in una condizione di minore irrequietezza psicologica sarebbe esattamente il mio gioco.

Però rigiocare al computer con la tastiera mi ha generato un effetto nostalgico. E la nostalgia (per quanto sfuggente e totalmente casuale) è la cifra dei miei ultimi mesi.

Ho invece ceduto, come un omino che compra azioni al telefono nell’America del dopoguerra, a TennisClash, un giochino divertente quanto farsesco, popolato da alter ego più o meno inapprezzabili.

Si gioca, a singoli tie break (sigh), singole partite sul telefono o su un tablet, con avversari sconosciuti (o amici sul librofaccia). Si sale di livello aprendo borse, premi e amenità varie, combinando caratteristiche tecniche secondo uno schema molto furbo e mirato a offrirti progressi accettando offerte. Insomma facendoti spendere dei soldi.

Ne sto uscendo, perché a parte qualche sfida con amici (ma dovrebbero permettere la telefonata insieme per iniziare lo sfottò) è davvero una simulazione puerile, ma soprattutto rovina la percezione del tennis giocato.

Provate a guardare qualsiasi match dopo qualche settimana di TennisClash e anche un Fedal vi sembrerà un gioco antico fatto di scambi a rallentatore. Una sensazione inaccettabile. Quasi come altri dieci giorni a casa, costretti a guardare il proprio futuro (sfuocato) alla finestra.

[Foto credito: Henri LECONTE e Yannick NOAH durante il torneo Roland-Garros del 1985. Fotografo: ROCHARD Christian / DESCHAMPS Michel, versione web in bassa risoluzione]