C’è una sensazione febbrile che si autoalimenta quando si scopre un nuovo giovane talento che si affaccia ai primi tornei Atp. Ed eplode quando si fa un esordio come quello di Matteo Gigante al challenger di Bergamo contro il belga De Greef.
Le ricorrenze poi rendono la cosa ancora più affascinante visto che questo è stato il torneo dell’esplosione di Sinner e che Gigante è giovane su cui ho scritto un post prima ancora che il suo tennis fosse visionabile su qualche streaming.
Eppure quella che voleva essere la cronaca di una grande vittoria si trasforma all’ultimo secondo nell’ennesimo epilogo che certifica l’incredibile sadismo di questo sport, giacchè Gigante, dopo aver condotto un match esemplare per presenza tecnica, mentale e atletica lo ha perso al terzo dopo essere stato 40 a 0 e servizio sul 6/5 del secondo set.
Per certificare il talento cristallino di Matteo, rispetto alla girgia medietà anche antiestetica di Arturo, bastano pochi scambi a inizio set. Gigante, mancino ispirato e sciolto, disegna traiettorie, affonda colpi, gioca bene di rete, cambia spesso ritmo e trova ottimi vincenti sia di dritto che di rovescio.
Ovviamente fa un po’ fatica al servizio e spreca molto, altrimenti parleremo di un fenomeno inaudito. Parte bene eppure va due break sotto, come a dire “Bel tennis il ragazzo ma oggi le busca rapidamente e paga dazio”. Anche no.
Matteo giganteggia (ok, questa dovete concedermela…) e rientra in partita, arriva addirittura a set point al tie break: ne spreca due e qui ti aspetti una flessione. Anche no, bis.
Matteo vince il primo set al tie break non cambiando di una virgola il suo piano, con un partita giocata in spinta e alla pari contro il legnoso e monocorde De Greef, tennisticamente piacevole come un attacco di dissenteria in moto in autostrada.
Matteo, invece, tradisce i suoi 17 anni con un tennis tecnicamente ispirato, che non ha l’esplosività di un Sinner, per dire, ma ha in dote una varietà notevole e anche a un eccellente footwork, che si traduce in solidità difensiva.
Meno sussulti e più sostanza nel secondo set con lunghi scambi spesso chiusi a rete dove il giovane italiano omaggiato dalla canzone di Piero Pelù mostra davvero una sensibilità importante per la sua età.
Il break arriva all’undicesimo game, con cinque grandi punti consecutivi sul servizio di De Greef. Punti che diventano otto quando Gigante si issa al primo dei quatro match point avuti.
Ormai l’irricevibile maniscalco belga la butta solo di là, accennando al massimo solo qualche saltino inguardabile sul rovescio, ma sostanzialmente spera negli errori dell’italiano. Che arrivano tutti insieme e consecutivamente quasi a ricordarci quanto il tennis sia sadismo, violenza e discriminazione.
Da manuale del baratro la rimonta del belga che si appella anche alla legge dei quattro match point annullati per vincere il secondo tie break in scioltezza, grazie ai tanti errori di Gigante.
Siccome la partita non ha molto di convenzionale, Matteo rifiuta il classico divellamento del rimontato nel terzo set e continua a combattere alla pari, fino a fine quinto game dove a certifica l’epica classica arriva il medical time out.
Non ho capito quale fosse il problema, ma di certo Gigante non è molto abituato a sfide punto a punto di tre ore sul veloce, ma riparte e sembra avercene ancora, prima di accasciarsi sulle gambe sul 4/4.
Comincio a insultarmi per non essere andato a vederla dal vivo quando Gigante risorge ancora e chiude il nono game con due scambi pazzeschi per uno che sembrava essere sull’orlo del ritiro.
Nono game: Gigante va 0 30, poi sbaglia due punti facili ma si issa lo stesso al quinto match point. Pallonetto di un soffio fuori, bestemmia nitida. Mia, non sua, la sua è interiore.
Gli dei (meschini) del tennis possono regalare una seconda chance, ma non una terza e quindi arriva lo scontato break di Greef all’undicesimo game e la vittoria per 7/5 dopo tre ore di partita. Sipario.