Sfida all’ultimo sangue tra un pistolero e un cacciatore di taglie per il più ambizioso e pessimista dei western di Sergio Corbucci (1968) con Klaus Kinski e Jean-Louis Trintignant.
Senza peccare di lesa maestà, è ammissibile ipotizzare che una disamina completa dei western di Sergio Corbucci presenti contenuti e elementi analitici perfino più stimolanti e stratificati rispetto all’apporto dato da Sergio Leone al genere.
Nella sterminata produzione del regista romano, Il grande silenzio è probabilmente il suo film più ambizioso. Sicuramente è quello più coraggioso e maggiormente fuori dai canoni imperanti: algido, violento e senza ammiccamenti al grande pubblico, anticipa il filone politico (che Corbucci stesso cavalcherà con Il mercenario e Vamos a matar compañeros) e porta alle estreme conseguenze il nichilismo delle sue opere.
Non esistono più eroi, duelli epici e codici d’onore da rispettare tra le montagne innevate (di Cortina) dove prendono corpo le vicende di un film che odora persistentemente di morte. Tutto è fuori dall’ordinario: dalla scelta di Jean-Louis Trintignant come protagonista (muto), contrapposto a un gigantesco e spietato Klaus Kinski, alla messa in scena minacciosa e saturo di simbologie spettrali.
Persino la colonna sonora di Ennio Morricone è priva di impennate classicheggianti preferendosi adattarsi al clima funereo di un film scenograficamente spoglio e sinistro.
Il grande silenzio è stato un esperimento eccessivo anche per un mercato ricettivo come quello del western italiano di fine anni 60. Un insuccesso commerciale, dovuto anche al divieto ai minori di 18 anni, che costrinse Corbucci ad ammorbidire la sua successiva produzione.
ORIGINALMENTE PUBBLICATO SU FILMTV 52/2016 COME CULT NELLA SEZIONE TELEVISIVA
