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Il mirabile tennis fuori forma-to di Taylor Townsend

Il braccio di un mancino australiano degli anni ’60, le fragilità di una ragazza cresciuta nell’era social, con l’incubo di piacere, la testa e la parlantina di un’attivista ultra liberal, il fisico niente affatto atletico: Taylor Townsend, 23 anni, americana, è arrivata al terzo turno degli U.S. Open.

Lo ha fatto partendo dalle qualificazioni e ubriacando le sue avversarie di chip and charge, discese a rete contro tempo e tagli sotto la palla.

L’ultima vittima del tennis d’antan della Townsend è stata Simona Halep, andata in loop dopo avere subito 106 discese a rete in poco più di due ore.

La Townsend, molto tennis e zero muscoli, ha avuto inizi di carriera difficili e ha subito capito che era lei quella diversa, l’imbucata alla festa: sovrappeso di parecchi chili, diciamo pure grassa e con la bizzarra idea di giocare a tennis come nessuno/a fa quasi più.

Nel 2012 la USTA, che non sempre brilla per magnanimità, le nega il rimborso spese per gli Us open, nonostante fosse una delle migliori juniores all’epoca, ma ci pensa Kamau Murray a fare una colletta per consentirle di andare avanti.

Kamau Murray è stato il primo allenatore da pro della Townsend e tuttora la consiglia, perché è stata proprio lei il primo prodotto della sua Academy di Chicago, XS tennis, un po’ circolo tennis un po’ centro sociale nato per far uscire dalla strada i ragazzi dei quartieri malfamati.

Kamau ha creduto fin dal principio nel tennis della Townsend e le ha sempre consigliato di non trasformarsi in una bombardiera da fondo campo, l’ennesima para Williams ma con molti meno muscoli.

Dopo i primi anni la Townsend passa sotto la guida di Donald Young sr, padre del tennista americano, allenatore e amico della famiglia Townsend.

Il clan Townsend si completa con Zina Garrison, ex tennista americana, volleatrice brillante ma parecchio emotiva che fece finale a Wimbledon nel 1990. La Garrison è spesso all’angolo della Townsend in qualità di amica e supporter.

Se fosse un film ci sarebbe il gran finale retorico: la tennista talentuosa ma un po’ goffa si trasforma in una strafica super allenata e vince Wimbledon.

La sceneggiatura della vita va un po’ diversamente. Townsend diventa pro ma l’ascesa è lenta, ci sono vittorie ma solo nei tornei ITF, nessun main event, e una classifica che faticosamente supera il limbo del fatidico 120 che consente l’entrata diretta nei tabelloni slam.

La Townsend è un prodigio di talento e nelle giornate buone vederla giocare è puro divertimento, ma ha doti atletiche modeste ed un carattere controverso, a volte fragile, forse anche per questo finisce vittima degli haters, imbecillì che provano piacere ad insultare chi in quel momento esce dai loro ristrettì standard mono neuronici, personaggi squallidi, spesso nascosti dietro i loro pseudonimi, che assaltano con successo chi è più debole.

Per la Townsend le accuse sono sempre le stesse (“non ti impegni”, “sei grassa”), ma nell’ultimo anno e mezzo per Taylor le cose cambiano in meglio: prima si cancella dai social, comincia a vincere qualche partita in più, scala il best ranking fino a entrare fra le prime 70 la scorsa estate, perde un po’ peso e acquista motivazioni nuove.

Rientra su Twitter e cerca di dimostrarsi più forte di chi tuttora la punzecchia con aggressività degna di miglior causa.

Il buon tennis, quello a Taylor non è mai mancato, come la brillantezza in conferenza stampa, c’è più contenuto in una intervista alla Townsend che in 5 anni di dichiarazioni di Cilic, giusto per fare un esempio.

La Townsend è una creatura pensante e non parla mai solo della partita, socialmente e politicamente impegnata esce dagli stereotipi dell’atleta che ringrazia sponsor, raccattapalle e saluta il coach. Fortunatamente.

Il tennis femminile ha bisogno di discese a rete e di pensieri complessi.

[credito foto: TennisWorldUsa.org]