Questa pagina tace per ovvie circostanze pandemiche, ma anche per un certo scoramento personale nel leggere assurdità di ogni tipo sulla ripresa e le condizioni a cui è sottoposto il tennis.
Isolo alcune questioni da proporvi sul nostro amato sport.
Lo sport è vita, benessere, spettacolo, tutto quello che vogliamo, ma è anche un mestiere. Esistono momenti d’emergenza, come esistono organi deposti a decidere come affrontare le questioni. Gli stessi organi che si mostrano passivi, incerti e contraddittori.
Concretamente, a me pare che il tennis abbia subito a livello internazionale il trattamento che ha subito la scuola in Italia: è stato eclissato, sacrificato, mutilato.
Qualche video dei giocatori più popolari che palleggiano con il muro, sporadiche notizia di ripartenza, le prime conferme, Federer che si opera, Nadal che tace, Djokovic che farebbe meglio a fare lo stesso, una serie di tornei d’esibizione buoni solo a fare scommesse apparentemente combinate e un generale senso di disagio è tutto quello che ci è stato propinato.
Nessuno che si sia impuntato nel rimarcare sul fatto che non esiste sport più praticabile del tennis anche in condizioni di pandemia?
Il problema sono gli spostamenti e le relative quarantene? Una soluzione poteva trovarsi senza andare così avanti con i tempi. Non sono sufficienti i test che fanno i normali cittadini quando prendono un treno per permettere ai giocatori di confrontarsi magari su territori contigui?
Ora però che una parvenza di stagione pare essere programmata (prima i tornei nazionali, poi i challenger, poi il grande appuntamento americano degli Us Open, poi Roma e Parigi a settembre) inizia il teatrino delle illogicità.
Probabile siano invidiosi del calcio – dove si impongono una serie di regole grottesche sul distanziamento a una serie di atleti che poi si scontrano in campo, si scambiano sudore, sputi e falli da tergo – anche nel tennis si leggono cose come questa?
Sì, avete letto bene: si giocano gli Us Open ma non le qualificazioni. Il torneo precedente al tabellone principale sarebbe così rischioso che l’Atp preferisce dare 15.000 euro a ogni avente diritto (per classifica) piuttosto che farle disputare.
Quale sarebbe la grande differenza tra lo slam e il suo torneo di qualificazione?
Le contraddizioni proseguono sulla presenza o no del pubblico, in un dibattito che universalmente sta perdendo la contrapposizione tra punti di vista, per appiattirsi in una condizione di generale e passivo conformismo, dove soprattutto ogni regola è soggetta solo alla rilevanza e al potere della questione in gioco. Quindi, prima il calcio, poi gli altri. E quando si arriva al tennis, beh, prima gli slam e poi i poveri cristi non eminenti che qui tuteliamo per attitudine.
Il classismo, anche nello sport d’altronde è la cifra dei tempi.
Il tutto dimenticandoci di una cosa: quella in cui viviamo, a torto o a ragione, è la società del rischio, come teorizzò Ulrich Beck (probabilmente il testo di sociologia più rilevante dell’ultimo secolo), non la società del dominio della scienza e dei suoi dettami conservativi, sacrosanti fin quando non diventano l’unico argomento utilizzato dalle classi dirigenti per fare le loro scelte.
Buon tennis. Almeno si spera.