Stretto tra la post-produzione di Il club e la pre-produzione di Jackie, Pablo Larraín ha pensato di far rivivere il poeta, intellettuale, politico Pablo Neruda, reinventando il genere biografico, rigettando l’agiografia e dirigendo l’opera più compiuta, visionaria e spiazzante della sua carriera.
Teniamo a bada i superlativi e andiamo con ordine. Prima ancora di ritrarlo nei bordelli, nei banchetti colmi di cibo e vino, o impotente di fronte alla domanda di giustizia proletaria giuntagli da una donna non sopraffatta dal suo fascino, la sacralità di Neruda viene infranta già dalla prima sequenza.
Larraín ce lo presenta nel lussuoso bagno del parlamento cileno, intento a mandare al diavolo i suoi oppositori, mentre sta urinando. Ci dice che Neruda non è solo un’idea, un verso ispirato, un protettore dei più deboli, ma un uomo grasso e pelato, profondamente terreno. È un poeta, ma la prosa lo sovrasta.
Il respiro, la grandezza del personaggio, invece non vengono mai infranti, ma si amplificano e si alimentano all’interno di un’opera dove la densità tematica si rispecchia in una messa in scena vorticosa e astratta. Al centro della scena c’è il corpo ingombrante del poeta (l’interpretazione carnale e vigorosa di Luis Gnecco è strabiliante): i suoi gesti, le sue parole, i suoi vizi sono il simbolo della libertà e vengono, inizialmente, utilizzati dal regista in contrasto con l’impudicizia della macchina repressiva cilena.
Neruda incarna un’opposizione ideale, quasi metafisica, la risposta al grigiore dell’autoritarismo. Con la latitanza, imposta dall’ordine di arresto emesso dal presidente Videla, il discorso slitta sul significato dell’arte e su quanto questa sia collegata al pensiero e all’azione.
Ma non siamo ancora alla svolta.
La grandezza di Neruda deve ancora arrivare: il film si rilancia attraverso il personaggio di Óscar Peluchonneau, voce narrante, detective immaginario e figura mitica che vive per interrompere la fuga del poeta – a sua volta sopraffatto da un’epica della battaglia politica che esiste solo nella sua fantasia – e conquistarsi una parte in questa storia.
L’opera si trasforma in un western esistenziale, con gli interpreti a cavallo nella neve: la biografia esce definitivamente fuori dalla porta per celebrare la “leggenda” Neruda. E per cercare ancora di rispondere a cosa ci sia dopo, quale sia il Post Mortem della Storia e della sua narrazione, di Neruda, costretto all’immortalità.
Ma soprattutto di Peluchonneau che, riconosciuto dalla sua preda, può finalmente vivere.
RECENSIONE ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU FILMTV 41/2016
