Il popolo di Storie di Tennis (?) chiede a gran voce di sanare un’irrazionale lacuna: calibrare una sana esegesi di Federico Gaio, eterno irrisolto, finalmente vincitore del challenger di Manerbio.
Parliamo di un tennista spesso trascurato e ingiustamente sottovalutato, che ha semplicemente il torto di appartenere alla generazione precedente rispetto a quella che sta certificando l’indiscutibile stato di salute del movimento.
Aiello con orrendo e inaccettabile cinismo lo ha definito un collaterale, cioè un appartenente solo nominale al movimento, ormai in mano a giovani di belle speranze. Da qui il titolo del post diversamente intellegibile e seo oriented.
Intendiamoci, Gaio non è mica vecchio, ha 27 anni. Secondo i canoni storici dell’italtennis, sarebbe nel pieno di quella maturazione lenta, che per motivi oscuri porta i nostri giocatori a esprimere il meglio a ridosso dei trent’anni.
Ma qui, a forza di parlare di teenager, ci siamo abituati troppo bene, evidentemente.
L’aspetto interessante della nuova dimensione di Gaio è il rifiuto del martirio e dell’anonimato: la risalita dai bassifondi della classifica, dopo una discesa agli inferi immediatamente successiva a quello che era stato (allora) il punto più alto della sua carriera.
Riavvolgiamo il nastro movimentista.
Gli albori
Classe ’92, faentino (e quindi figlio di una ben consolidata tradizione tennistica, Gaudenzi, Rinaldini e Reggi, per citare i primi tre che mi vengono in mente), si mette in luce da junior al Trofeo Bonfiglio del 2009, dove raggiunge la finale. Che perde da Facundo Arguello, perché è giusto che nel percorso di maturazione di un teenager sia subito messo in chiaro che la vita è sofferenza e privazione.
In un momento neanche lontanamente paragonabile a quello attuale, le aspettative sono un po’ eccessive, ma a livello federale si crede parecchio in questo ragazzo strutturato senza essere altissimo, capace di esprimere un gioco piacevole. E infatti, l’anno dopo, Gaio si becca una wild card per le qualificazioni degli Internazionali d’Italia.
Proprio a Roma fa il suo esordio nel circuito maggiore, ma cinque anni dopo, nel 2015, sempre grazie a una wild card, sconfitto in due set da Leonardo Mayer.
In mezzo, la consueta trafila di futures, primi risultati di rilievo nei challenger, qualificazioni nei 250 non troppo fortunate.
La svolta sembra arrivare nell’estate del 2016, con i primi due successi ravvicinati a livello challenger, prima a San Benedetto del Tronto e poi a Biella. Quest’ultimo in particolare lo vede battere in due set Thomaz Bellucci, finale che certifica inequivocabile il salto di qualità.
Salto che sembra inevitabile all’inizio del 2017 con le prime due vittorie a livello Atp, a Quito. Due battaglie, dopo aver superato le qualificazioni, al primo turno con Joao Souza (7-5 al terzo) e al secondo con Gerard Melzer, al tiebreak decisivo. Ricordo in particolare il secondo match, dove emergono chiaramente le qualità e il gioco brillante, perfettamente adatto alla superficie e all’altura.
La corsa si interrompe contro Estrella Burgos (che ha appena annunciato il ritiro, peraltro), praticamente imbattibile solo a Quito e trionfatore, qualche giorno dopo, per la terza volta di fila in quel torneo. Ma l’onda lunga, per Gaio, prosegue fino alla qualificazione a Indian Wells, con conseguente ingresso nei primi 150 giocatori del mondo.
E il grande salto?
Tutto pronto per il cambio di livello quindi? Eh no, purtroppo non sempre funziona così, non è così semplice. Il sottobosco del tennis è pieno di queste storie in cui gli italiani mediamente eccellono.
Il salto ambizioso nelle qualificazioni Atp lo vede sempre divelto, il ritorno nei challenger è peggio che andar di notte, qualche sconfitta in volata in match che potevano invertire la tendenza e il gioco è fatto: con le cambiali pesanti dell’anno prima precipitare in classifica è un attimo e Federico non chiude la stagione oltre la posizione 300 solo grazie ai punti raccolti in alcuni dei 711 futures di fine stagione a Santa Margherita di Pula.
Ma all’inizio del 2018 i punti da difendere a Quito (dove peraltro si qualifica nuovamente, ma stavolta non va oltre il primo turno) sono davvero tanti e così, ad aprile, la classifica dice 319. Dramma indicibile!
Che fare? La logica direbbe nuovamente futures, per riconquistare abbastanza facilmente punti e (soprattutto) fiducia, ma Gaio sceglie un’altra strada, le qualificazioni dei challenger.
Gioca una marea di partite, spesso perde al turno decisivo (portando a casa nulla), ma alla lunga la testardaggine paga: supera le qualificazioni in sei tornei, piazza anche qualche risultato di rilievo e comincia a costruirsi una classifica decente che gli permette, per esempio, di giocare di nuovo le qualificazioni Slam, a New York.
Le supera per la prima volta in carriera e si regala una figura più che decorosa con un top10, David Goffin.
2019: la svolta è servita?
All’inizio del 2019 arriva un piccolo aiuto dalla riforma dei challenger. I nuovi tabelloni a 64 gli permettono di entrare praticamente sempre e, dopo un inizio di anno non entusiasmante, i risultati arrivano eccome. Anche se sul più bello si perde spesso in un bicchiere d’acqua. Succede a Parma dove arriva in finale vincendo anche partite contro pronostico prima di cedere all’eversore dei diritti umani Tommy Robredo. E a San Benedetto, dove si fa redimere in semifinale da Renzo Olivo.
Finalmente solido fino in fondo, trionfa nel challenger di Manerbio, dove ha impressionato nella rimonta in semifinale con il piccolo Coria e, in particolare, nella finale dominata con Paolo Lorenzi, un tennista che ha sempre guardato con grande ammirazione e che negli ultimi due precedenti lo aveva letteralmente portato a scuola.
La classifica ora dice 145: è stata dura, ma Federico Gaio è tornato. E i primi 100, dove nel 2020 vedremo 82 italiani, non sono così distanti.