L’incredibile storia di John Dillinger, nell’America della Grande depressione, filtrata dal magnetico iperrealismo digitale di Michael Mann. La critica mugugna, il pubblico rimane tiepido, la distribuzione italiana è tardiva, il risultato è straordinario.
Dillinger come Alì, ma senza espandere, affrescare, ingigantire. Cercando piuttosto l’essenza.
Michael Mann saccheggia un pezzo di vita del gangster americano e ne fa un ulteriore tassello del suo studio umano. Prima lo tratteggia freneticamente, poi lo scompone e gli contrappone due idee dell’America: quella della nuova FBI di Hoover, cinica, scientifica e arrogante, perfettamente incarnata dall’agente Melvin Purvis (Christian Bale) e quella dei vecchi cowboy dalla scorza dura (uno strepitoso Stephen Lang).
Successivamente lo trasforma in un fantasma e ne amplifica l’eco, portando a compimento il suo esperimento di iperrealismo digitale, tra soggettive e profondità di campo inedite, primi piani insistiti, raccordi sgrammaticati, scavalcamenti, lenti deformate e grana insistita.
Sempre alla ricerca del dettaglio, dell’elemento umano che sfugge, anche nei momenti più concitati, come nell’incredibile sparatoria nel bosco. Infine ci priva della sua figura, in uno dei finali più sbalorditivi di sempre, dove il romanticismo spacca il cuore e l’amore è ancora una volta tutto nell’allontanarsi dello sguardo, nell’impossibilità di un nuovo incontro.
La critica, specie quella americana, in larga parte, si dimostra inadeguata. Parla di scissione tra forma e contenuto, di scrittura poco rigorosa. Non comprendendo che per Mann la stasi è la catastrofe dei sensi e dello sguardo, l’indifferenza, marchio di fabbrica di tanta Hollywood fredda e ridondante. Solita enorme direzione degli attori, con una Marion Cotillard da non dormirci la notte!
ORIGINALMENTE PUBBLICATO SU FILMTV 09/2016 COME CULT NELLA SEZIONE TELEVISIVA
