Direttamente in cima alla categoria dei miei guilty pleasure svetta da tempo questo Prequelle dei Ghost, album che continua a monopolizzare i momenti più disimpegnati delle mie uscite con musica in cuffia. Piuttosto rare nel monento in cui ho scritto questo post, vedi Covid….
Perché parlo di guilty pleasure? Facile: mi riferisco a un genere ruffiano come l’hard rock melodico, proposto da una band svedese dall’iconografia macabra ed ecclesiastica, con testi gentilmente satanici, i volti dei componenti mascherati e un leader che si chiama Papa Emeritus.
Come se non bastasse il Papa ha fatto fuori tutti i componenti, si è tolto la maschera ora si chiama Cardinal Copia e ha ammorbidito ancora più il suono, rispetto al metal in odor di Mercyful Fate, divertito e calligrafico, degli esordi.
L’evoluzione è stata progressiva, fino a questo Prequelle, che, appunto, può definirsi il disco del tradimento definitivo. Tradimento che ha generato il primo loro album che riesco a sentire interamente senza smaniare o skippare avanti.
A proposito di hard rock pacchiano, sentite Dance Macabre per farvi un’idea. Anzi, guardatevela.
E beccatevi pure Rats.
Insomma, ci siamo capiti. Più che una band i Ghost di Prequelle somigliano a un clichè vivente o una somma di tanti chichè centrifugati in una sintesi che sembra fatta per non accontentare nessuno e invece finisce per conquistare con una sorta di crossover lisergico, tra hit che guardano perfino agli Abba, riffoni sulfurei (Faith), due aperture strumentali (una da film horror, una medievaleggiante) e un paio di ballate (Pro Memoria e Life Eternal) che ti entrano in testa ineluttabilmente.
Due elementi però svettano sicuramente: la facilità di comporre pezzi facili e commerciali (la già citata Rats e Witch Image su tutte), ma non del tutto già sentiti, e una produzione cristallina che suona tagliente e confortante allo stesso tempo.