Sfida lo sguardo, ma non il genere, The Breeder, survival horror danese di Jens Dahl, che qualcuno ricorderà come sceneggiatore del primo Pusher di Nicolas Wending Refn.
Abbiamo la dottoressa Isabel, suo figlio Thomas e la nuora Mia. La prima ha brevettato un rivoluzionario trattamento per impedire l’invecchiamento delle cellule, il secondo lavora con qualche riluttanza nella sua società, la terza finisce per subirne le conseguenze e scoperchiare un mondo sotterraneo, alieno a qualsiasi fondamento etico.
Il contesto narrativo – tutto compreso tra biogenetica e fantamedicina, con l’usuale tema della scienza che sfida la natura – vira velocemente dalle parti di un torture-porn nichilista e spettrale, che corteggia e ribalta il WIP, contorce le viscere e trova l’inevitabile catarsi nella vendetta.
Non c’è nulla fuori dal genere in The Breeder ed è giusto così: Dahl ne ricalca gli stereotipi e le iperboli cavalcando, anche paraculamente, una certa deriva femminista, che è comunque perfettamente funzionale al soggetto.
Così facendo trova l’empatia liberatoria dello spettatore, il benestare selettivo del Bocchi e delle sue stanze di Rol e il sopracciglio alzato dei puntigliosi che parleranno (o avranno già parlato) di opera banale, senza spunti, ritrita, con dialoghi poco riusciti, sceneggiatura poco verosimile, inneggiante alla vendetta e bla bla bla.
Invece The Breeder fa tutto quello che deve fare un film così, senza sensi di colpa, azzeccando un crescendo finale che riabilita una prima parte un po’ sottotono. E ficcandoci in mezzo anche sadomasochismo e un caso di Sindrome di Stoccolma.
Funzionano anche gli attori, che non è rilievo di poco conto in un film che affonda in questo modo, o meglio, funzionano tutti esclusi i due protagonisti che non hanno la faccia giusta per l’inferno a cui sono destinati.
La dottoressa, invece, è il perfetto stereotipo della despota algida e megalomane, ,a è il suo “assistente” maniaco (Il cane…) a essere repulsivo oltre ogni limite consentibile. Bellissime, non in senso estetico, anche le facce e i corpi martoriati delle prigioniere.